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Le vie dell' amore: tradizione e produzione di un porta bebè

Tradizione e produzione di un porta bebè, un lungo "viaggio" che inizia in Turchia, alla scoperta del Kolan, e si estende fino all'Uganda.

Quando ho scelto l'argomento della mia tesina per la certificazione come Consulente del Portare®, non avevo dubbi sul tema: tradizione e produzione di un porta bebè. Un "viaggio" che sarebbe certamente iniziato in Turchia, ma non avevo alcuna idea di dove mi avrebbe portata, o almeno, non pensavo si sarebbe esteso fino all'Africa Orientale.... Dalla Turchia all'Uganda, tradizione e produzione di un porta bebè. Le tradizioni che le nonne e le bisnonne da secoli trasmettono di generazione in generazione in ogni angolo del mondo, sono di solito racconti carichi di sentimenti o esperienze di manualità oramai rara, da cui spesso nascono gli oggetti più pregiati che si possano mai ereditare. La Turchia, paese fortemente in via di industrializzazione soprattutto dall’inizio del nuovo secolo, è attualmente al terzo posto tra i maggiori produttori di cotone biologico a livello mondiale. In un paese giovanissimo con un'età media di 30.7 anni, contro i 44.4 dell'Italia (dati anno 2014), è difficile credere che la pratica del babywearing sia scarsa o totalmente assente nell'accudimento del bambino: è ancora uno di quei paesi dove la famiglia numerosa e patriarcale non è certo una rarità, nonostante siano invece rare le testimonianze di chi ha portato o visto portare i bambini. I racconti che ho avuto modo di ascoltare dagli anziani che tuttora vivono nell’entroterra anatolico, riportano sempre a un’etnia in particolare: gli Yörük. Gli Yörük sono un gruppo etnico di origine turca, un popolo storicamente nomade, infatti la parola in turco significa “coloro che camminano”. Erano conosciuti per le loro abilità di tessitori, qualità appresa con tutta probabilità durante gli spostamenti che li hanno visti protagonisti dall’VIII° secolo a.C. dall’Asia Centrale fino ad arrivare all’Europa.

Durante questi spostamenti, erano soliti accamparsi per periodi più o meno lunghi. Ed in queste occasioni, facevano un uso costante e vario dei loro manufatti tessili creati col tipico telaio chiamato “çarpana” (pron. ciarpana) .

Produzione di un porta bebè tradizionale: il kolan. Questo telaio decisamente rudimentale, e che tuttora è in utilizzo in alcuni villaggi, veniva costruito mediante l’utilizzo di pali e paletti di legno adeguatamente fissati a terra che permettevano di creare le guide della trama e dell’ordito. Con questo metodo di tessitura, impiegato anche nella produzione di un porta bebè, veniva prodotto il “Kolan”: una specie di cinta o di corda stretta e lunga che gli Yörük impiegavano per ornare e fissare le loro tende e come cinture per capi di abbigliamento. Il Kolan veniva oltrettutto utilizzato per trasportare carichi pesanti sia sulle proprie spalle che su quelle delle loro bestie, ed infine, per portare i bambini. Le donne lavoravano prettamente nei campi e allevavano il bestiame, questo significava per loro essere sempre in movimento. Il Kolan permetteva di portare il bambino solo sulla schiena ma, essendo una specie di cinta, non dava un adeguato sostegno alla schiena del portato. Per poter ovviare a questo problema e far sentire sicuro anche il portatore nei propri movimenti, veniva messa una copertina o un telo sulla schiena del bambino e dopodichè, si poteva completare la legatura.

kolan

Come si lega il "Kolan"? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di un porta bebè tradizionale? La legatura in sé consiste nel far passare la cinta all’altezza delle scapole del bimbo, passando poi sulle spalle del portatore e a questo punto ritornando dietro come nella legatura canguro (zainetto) oppure incrociando sul petto come nel triplo sostegno dietro e creando un incrocio anche sotto al sedere del bimbo fino a chiudere davanti sulla pancia del portatore. Con questa tecnica, era possibile far assumere una posizione "più o meno" ergonomica, dettaglio importante ma ignorato. Si prestava invece maggiore attenzione a creare una sorta di sicurezza per il bambino, cercando di mantenerlo posizionato alto e rigorosamente con le braccia fuori in modo che non potesse liberarsi rischiando di cadere. Questa legatura, veniva prettamente utilizzata dalle donne, solitamente spose in età giovanissima, impegnate nella gestione quotidiana della casa, dei campi e del bestiame. Come si può ben intuire, la donna era in costante movimento ed era inevitabile che la legatura desse dolori alla schiena e alle spalle man mano che il bimbo continuava a crescere. Portare con il kolan aveva molti vantaggi, in quanto la cinta impiegata nella produzione di un porta bebè tradizionale senza molte pretese, veniva tessuta localmente quindi era di facile reperibilità ed aveva un costo irrisorio. Purtroppo, aveva anche il grosso svantaggio di non garantire comfort al portatore, né per brevi tragitti né per portare a lungo nell’arco della giornata. A volte, a portare i bambini, erano le sorelle più grandi (anche di 9-10anni). Altre volte erano le mamme, loro stesse poco più che bambine, quindi anche la loro forza era commisurata al proprio sviluppo fisico. Spesso passavano intere giornate sotto al sole a lavorare nei campi. Altre volte invece, la legatura creava compressioni sul seno, con conseguenti ingorghi e forti dolori nelle donne che allattavano.

 

In occidente abbiamo la convinzione che tutto ciò che ai nostri occhi risulta “naturale” e tradizionale , e a cui non siamo abituati, sia più salutare e meno consumistico di ciò a cui siamo quotidianamente esposti. Ma sarà davvero così? Nonostante il kolan appartenga a una tradizione e ad una pratica tramandata per secoli, viene spontaneo pensare a come si fa a portare un bambino con una cinta larga poco più di 3 dita e che solo alla vista risulta così precaria dal punto di vista della sicurezza. Altrettanto naturale è chiedersi se chi usa il kolan o altri supporti considerati tradizionali, probabilmente senza avere alcuna possibilità di scelta ma idonei alle proprie possibilità socio-economiche, abbia mai desiderato sperimentare un altro tipo di supporto che gli possa permettere di valutare i vantaggi o gli svantaggi del portare in un modo diverso. ...ma di questo ne parleremo nel prossimo articolo : destinazione Uganda. ©Zuhal Kaykac Messora, Scuola del Portare Fonti:

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